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«Formazione professionale 2040 – prospettive e visioni»: Due esperti a colloquio

Esami orientati alle competenze operative nella procedura di qualificazione: obiettivo irraggiungibile?

Due esperti di lungo corso discutono sulle sfide attuali degli esami nella formazione professionale. Mentre l’esperto di didattica Daniel Schmuki mette in guardia dall’abolizione degli esami scritti, raccomandando piuttosto di orientarli alle competenze e di separare in modo molto più coerente la fase di apprendimento dalla fase di prestazione, l’esperto di economia della formazione Jürg Schweri mette in discussione l’obbligo di assegnazione di note per i corsi interaziendali (CI), sostenendo che questi ultimi devono essere dedicati principalmente all’apprendimento.


Jürg Schweri: Daniel, iniziamo subito con la questione più scottante: la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) ha deciso di abolire l’esame finale scritto di cultura generale (CG). Questa decisione incontra qualche resistenza, ad esempio la NZZ l’ha commentata in modo critico.

Daniel Schmuki: Rispondo con un’altra domanda: sulla base di un’analisi di dati del Canton Berna avete studiato il ruolo dei diversi elementi della procedura di qualificazione (PQ) nel mancato superamento della stessa. Cosa è risultato per la CG?

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Jürg Schweri: Abbiamo constatato che un numero relativamente alto di persone in formazione (11%) riceve una nota insufficiente in CG. Non essendo, tuttavia, una nota determinante, può essere compensata con altre note. Ne risulta che di queste persone è bocciato solo il 2%. Abbiamo pubblicato queste analisi nel rapporto sulle tendenze 6 dell’Osservatorio svizzero per la formazione professionale (OBS SUFFP; Graf et al. 2024; Neumann et al. 2025).

Nel rapporto, tuttavia, non abbiamo potuto approfondire le questioni didattiche sulla PQ e sugli esami. Ecco perché sono felice di poterne discutere con te. Dal punto di vista didattico ritieni che l’esame finale scritto crei problemi che giustifichino un’abolizione dello stesso?

Daniel Schmuki: Sì e no. Esistono almeno quattro modi di vedere questa problematica. Innanzitutto quello delle persone «tradizionaliste» che, da sempre scettiche sull’orientamento alle competenze operative in generale, reputano importanti il sistema delle materie e i dati. La maggior parte di queste persone è piuttosto a favore del mantenimento dell’esame finale scritto attuale, che in molte scuole consente tuttora di verificare molti dati appresi. C’è poi la prospettiva delle persone «progressiste», che sostengono l’abolizione dell’esame finale scritto per ragioni pedagogiche e didattiche.

Il gruppo delle persone ottimiste, a cui sento di appartenere, condivide l’analisi dello stato attuale degli esami scritti con la speranza che gran parte delle scuole professionali nonché dei e delle docenti abbiano volontà di cambiamento. Queste persone ritengono che bisognerebbe dare una possibilità all’esame finale scritto di CG.

Un terzo gruppo, quello delle persone «pragmatiche», si divide in «ottimiste» e «pessimiste». Entrambe le visioni partono, a ragione, dal presupposto che gli esami finali regolano l’insegnamento «da dietro». Chi è pessimista sostiene che negli ultimi anni gli esami finali di CG erano troppo poco orientati alle competenze e testavano soprattutto dati appresi a memoria. L’avvento delle forme d’esame digitali negli ultimi anni ha cementato questo orientamento anziché riformarlo, poiché gli algoritmi non consentono (ancora) di valutare compiti più aperti. Inoltre, queste persone hanno perso la convinzione che gli esami scritti possano essere orientati alle competenze in tempi brevi. La conclusione è dunque coerente: abolire l’esame scritto. Il gruppo delle persone ottimiste, a cui sento di appartenere, condivide l’analisi dello stato attuale degli esami scritti con la speranza che gran parte delle scuole professionali nonché dei e delle docenti abbiano volontà di cambiamento. Queste persone ritengono che bisognerebbe dare una possibilità all’esame finale scritto di CG. Una condizione necessaria sarebbe che tutte le parti coinvolte compiano sforzi notevoli e vincolanti verso l’orientamento alle competenze.

Jürg Schweri: L’abolizione elimina un elemento della PQ il cui sviluppo è molto esigente. L’orientamento alle competenze operative risulta più facile negli altri elementi della CG, vale a dire le note dei luoghi di formazione, il lavoro finale scritto e il colloquio professionale?

Daniel Schmuki, insegnante di lungo corso nel ciclo di studio per docenti di cultura generale presso la SUFFP.

Daniel Schmuki: Il nuovo lavoro finale previsto presuppone dalle persone in formazione varie competenze: competenze ricettive quali, ad esempio, la lettura e la comprensione di testi, video e registrazioni molto differenti, competenze interattive nell’ambito di interviste e competenze linguistiche produttive per la redazione del lavoro e della presentazione. Sono, inoltre, necessarie anche molte competenze trasversali, ad esempio competenze di organizzazione autonoma o di collaborazione in caso di lavoro in tandem. Il lavoro finale consente di testare bene le competenze linguistiche e le cosiddette competenze chiave, sempre che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia regolamentato in modo intelligente.

referirei, piuttosto, che il colloquio professionale fosse diviso in due parti: una metà scarsa dedicata al prodotto e al processo del lavoro finale e una metà abbondante a due prodotti portfolio derivanti principalmente dal campo di apprendimento «Società».

A mio avviso, tuttavia, il lavoro finale non è una forma d’esame opportuna per il campo di apprendimento «Società» con gli aspetti della politica, dell’etica, dell’economia, dell’ecologia, ecc. Questo perché non permette di esaminare in modo abbastanza ampio il livello di competenza a cui per anni si è lavorato a spirale orientando la CG alle competenze. In un lavoro finale, infatti, le persone in formazione si focalizzano su un tema ben definito. Preferirei, piuttosto, che il colloquio professionale fosse diviso in due parti: una metà scarsa dedicata al prodotto e al processo del lavoro finale e una metà abbondante a due prodotti portfolio derivanti principalmente dal campo di apprendimento «Società»: un prodotto potrebbe essere scelto dalla persona in formazione e un altro dal o dalla docente già prima del colloquio professionale. Non bisogna dimenticare che, affinché un esame sia valido e affidabile, il colloquio professionale deve avere una durata sufficiente. I 15 minuti previsti sono decisamente scarsi e da riconsiderare.

Jürg Schweri: Saresti favorevole a un colloquio professionale che copra tutti i campi di apprendimento della CG?

Daniel Schmuki: No. Se si abolisse l’esame finale scritto con la sua ampiezza di contenuti, bisognerebbe restare fermi su questo principio ed evitare di riproporre la stessa ampiezza nel colloquio professionale. Come già spiegato, tuttavia, trovo importante cogliere l’opportunità per considerare, ad esempio, determinati prodotti portfolio in un colloquio professionale di approfondimento. Ciò confermerebbe anche l’approccio esemplare della CG. Nel colloquio professionale si potrebbero affrontare i temi della scelta dei prodotti portfolio e dei processi che hanno portato a tali prodotti. In questo contesto la persona in formazione riflette presentando, in particolare, quali conoscenze e metodi ha applicato per accelerare il proprio processo e il prodotto e quali difficoltà ha gestito in che modo. Ciò lascia anche spazio a una discussione professionale sulle conoscenze applicate.

Una condizione importante per la riuscita di questa forma d’esame è la certezza dell’aspettativa grazie a direttive sui processi e criteri di valutazione trasparenti che bisogna offrire alle persone in formazione. Per tutte le parti coinvolte deve essere chiaro cosa è tematizzato nel colloquio professionale e come ciò viene valutato.

Ma cosa ne pensi tu, Jürg? Gli esami sono importanti anche dal punto di vista dell’economia della formazione?

Jürg Schweri: Certo. In Germania sono stati condotti studi secondo cui gli esami centralizzati portano a risultati migliori per le persone in formazione, dal momento che aumentano la comparabilità tra le scuole e le motivano a fornire prestazioni migliori. Gli esami contribuiscono, pertanto, a influenzare la qualità delle formazioni. Inoltre, una certa standardizzazione degli esami è importante affinché i datori di lavoro sappiano quali competenze sono certificate in un titolo. Infine, si dovrebbe garantire che le persone in formazione possano frequentare formazioni successive. Un esame scritto consente naturalmente una maggiore standardizzazione, ma è più importante garantire che siano esaminati entrambi i campi di apprendimento del programma quadro d’insegnamento (PQI). Sarebbe il caso delle tue proposte sul colloquio professionale.

Temi che la CG perda importanza senza un esame finale?

La CG potrebbe così posizionarsi quale forza innovativa nella formazione professionale svizzera, un ruolo che aveva già assunto dal punto di vista didattico con il PQI 1996.

Daniel Schmuki: Dal punto di vista della politica professionale l’abolizione non è certo una benedizione, ma bisogna focalizzarsi in primo luogo sulle persone in formazione. Grazie all’abolizione si possono consolidare, nell’ambito del colloquio professionale, forme d’esame orientate alle competenze in cui si testa esattamente quanto hanno appreso o sviluppato le persone in formazione nella CG. Quest’ultima potrebbe così posizionarsi quale forza innovativa nella formazione professionale svizzera, un ruolo che aveva già assunto dal punto di vista didattico con il PQI 1996, che applicava un concetto costruttivista di insegnamento e apprendimento mai applicato in nessun altro PQI in scuole statali.

Jürg Schweri, ricercatore presso la SUFFP.

Jürg Schweri: Riassumendo, dal punto di vista didattico confermi quanto abbiamo constatato nel rapporto sulle tendenze 6, vale a dire che non è determinante quali elementi d’esame sono applicati, bensì il fatto che i singoli elementi sono impostati in modo valido e oggettivo e insieme consentono di esaminare tutta la gamma di competenze definite nell’ordinanza sulla formazione professionale di base e nel PQI della CG.

Vorrei affrontare un ultimo elemento della CG e delle conoscenze professionali, vale a dire le note dei luoghi di formazione. Parliamo, dunque, dei test e degli esami che si svolgono durante l’intero periodo di tirocinio nei tre luoghi di formazione. Ti faccio un esempio: nell’ambito di un CI mio figlio, apprendista giardiniere, ha dovuto costruire una scala con muro e terrazza basandosi su un progetto. Né lui né le sue colleghe e i suoi colleghi l’avevano mai fatto e questo compito li ha occupati per l’intera settimana di corso. Al CI è stata assegnata una nota che valutava in base a criteri precisi l’intero processo dall’inizio del corso. Il feedback era dettagliato, cosa a mio avviso positiva. Ma perché valutare con una nota qualcosa che non è mai stato esercitato e che prevede il rispetto di norme SIA piuttosto severe? Una nota insufficiente non aumenta di certo la motivazione e la convinzione nella propria efficienza.

Daniel Schmuki: Di norma i CI offrono condizioni quadro eccellenti per un insegnamento orientato alle competenze. Grazie alla presentazione di problemi pratici, nei CI le esperienze aziendali e interaziendali possono essere collegate, orientandole all’applicazione, con conoscenze teoriche apprese a scuola. Ciò è notevole dal punto di vista dell’orientamento alle competenze! Nell’esempio di tuo figlio sembra che i e le responsabili del CI abbiano colto questa sfida. Bello!

Nel tuo esempio, tuttavia, si riscontra un problema evidente in relazione agli esami orientati alle competenze: la separazione coerente della fase di apprendimento dalla fase di prestazione.

In un insegnamento orientato alle competenze bisogna invece separare in modo coerente la fase di apprendimento dalla fase di prestazione, poiché lo sviluppo delle competenze avviene di rado in modo lineare e le persone in formazione hanno bisogno di un’aspettativa certa per lo sviluppo delle proprie competenze.

Un tempo la nota orale molto soggettiva era determinata dall’intensità e dall’espressività della partecipazione alle lezioni durante la fase di apprendimento. Allora la fase di apprendimento e la fase di prestazione si mescolavano costantemente. Le persone in formazione dovevano stare sempre in guardia ed evitare per quanto possibile gli errori. In un insegnamento orientato alle competenze bisogna invece separare in modo coerente la fase di apprendimento dalla fase di prestazione, poiché lo sviluppo delle competenze avviene di rado in modo lineare e le persone in formazione hanno bisogno di un’aspettativa certa per lo sviluppo delle proprie competenze.

Nella fase di apprendimento diversi tipi di compiti devono consentire una sperimentazione, un’esplorazione, un’assimilazione, una comprensione più approfondita, un’applicazione e un’esercitazione. In questa fase è molto importante la cultura dell’errore, pertanto le persone in formazione devono essere certe che non sia assegnata nessuna nota. Ciò consente di sviluppare una cultura dell’autovalutazione e del feedback. In breve nella fase di apprendimento, al contrario della fase di prestazione, gli errori sono accettati o addirittura auspicati. Nella fase di prestazione bisogna invece evitare di commettere errori e mostrare il livello delle proprie competenze.

La separazione coerente di queste due fasi è più impegnativa nelle forme più ampie della valutazione delle prestazioni tipiche dei controlli degli apprendimenti orientati alle competenze, in cui i progetti o i portfolio costituiscono la base di valutazioni che considerano anche aspetti personali e interdisciplinari-metodologici. In questo contesto, per ragioni di tempo si corre fortemente il rischio di mescolare la fase di apprendimento con quella di prestazione. Ciò risulta molto bene nell’esempio di tuo figlio. Nel caso di queste forme, pertanto, bisogna riflettere meglio su come separare le due fasi.

Jürg Schweri: Come si potrebbe applicare tutto ciò in un CI di pochi giorni?

Daniel Schmuki: Dipende dalle risorse di personale disponibili per i e le responsabili del CI. Tali risorse rivestono un ruolo fondamentale per una possibile forma d’esame, tuttavia non devono essere sfruttate costantemente quale argomento contro forme d’esame orientate alle competenze. Per sgravare i e le responsabili del CI si può applicare il seguente principio riferito alle persone in formazione: «Mostrami tu cosa sei in grado di fare o cosa hai imparato!». Ciò potrebbe implicare che in un CI dopo la fase di apprendimento sia aggiunta una fase di prestazione in cui le persone in formazione pianificano, sviluppano ed elaborano in modo frammentario qualcosa riferito a un obiettivo di valutazione, lo documentano con fotografie, video o registrazioni, lo valutano in forma orale o scritta e riflettono in modo strutturato su quanto svolto. Ciò potrebbe essere completato in modo opportuno con direttive e con la responsabilità individuale delle persone in formazione. Non si tratterebbe di tempo (di apprendimento) perso, poiché di norma i test sommativi hanno anche un’utilità formativa (ripercuotendosi sul processo di apprendimento).

Una riflessione alternativa porta a considerare i CI come tempo di apprendimento in cui non viene assegnata una nota e a sfruttare il tempo per feedback dettagliati su processi e prodotti che consentano di apportare revisioni al lavoro.

Una riflessione alternativa porta a considerare i CI come tempo di apprendimento in cui non viene assegnata una nota e a sfruttare il tempo per feedback dettagliati su processi e prodotti che consentano di apportare revisioni al lavoro. Tutto ciò senza perdere di vista il lavoro pratico quale parte della PQ.

Jürg Schweri: Questa idea mi piace! A mio avviso il CI dovrebbe essere dedicato in primo luogo all’apprendimento. E quali sfide pensi che celino gli esami nella scuola professionale?

Daniel Schmuki: In particolare due sfide: lo sviluppo di esami orientati alle competenze e la pressione quantitativa delle note.

Per quanto concerne lo sviluppo di esami orientati alle competenze, in base alla mia esperienza nella formazione e in numerose formazioni continue c’è ancora margine di manovra indipendentemente dalla forma d’esame, sebbene la necessità di sviluppo nelle scuole professionali e nelle divisioni sia molto differente. I compiti d’esame potrebbero basarsi ancora di più sulla gestione efficace di situazioni problematiche nell’ambito privato, sociale o aziendale da parte delle persone in formazione. In questo contesto è naturale un orientamento coerente all’applicazione. Solo se le persone in formazione dimostrano di saper gestire diversi compiti che rientrano in una determinata tipologia di problema o di situazione, possiamo dedurre che hanno acquisito una competenza corrispondente con tutte le competenze parziali a essa connesse.

Jürg Schweri: Parli di un «orientamento coerente all’applicazione». Cosa si applica esattamente?

Daniel Schmuki: Le nuove conoscenze apprese e conoscenze correlate già acquisite. La struttura dei compiti d’esame orientati alle competenze obbliga le persone in formazione ad attivare e organizzare in modo mirato tali conoscenze in funzione della gestione di un problema. Le conoscenze non sono quindi intese come fine a sé stante, bensì come uno strumento che le persone in formazione possono utilizzare per gestire una situazione o un problema in modo migliore rispetto al passato.

Jürg Schweri: Ma così non si rischia di pretendere troppo dalle persone in formazione meno dotate?

I compiti d’esame orientati alle competenze possono essere applicati anche per le persone in formazione CFP, in funzione di situazioni sia nella vita privata che nella professione.

Daniel Schmuki: I compiti d’esame orientati alle competenze possono essere applicati anche per le persone in formazione CFP, in funzione di situazioni sia nella vita privata che nella professione. I compiti orientati alla vita (privata o professionale) reale sono quasi sempre orientati alle competenze, ma le persone in formazione meno dotate si confrontano con situazioni meno complesse, si esercitano molto di più e devono gestire una minima fase di trasferimento nella situazione d’esame.

Jürg Schweri: Cosa intendi con la pressione quantitativa delle note che menzioni come seconda sfida?

Daniel Schmuki: Intendo dire che la pressione quantitativa delle note è elevata nella formazione professionale: nell’insegnamento di CG in molti Cantoni bisogna assegnare sei note al semestre (tre per ognuno dei due campi di apprendimento «Società» e «Lingua e comunicazione»). Di conseguenza, la tentazione per i e le docenti di mescolare la fase di apprendimento con quella di prestazione è molto elevata.

Evidentemente, dunque, non bisogna applicare una logica di progressione solo in relazione alla formulazione degli obiettivi di apprendimento e all’impostazione del processo di apprendimento, bensì anche alla valutazione sommativa delle prestazioni. Una logica di progressione in questo ambito nel corso degli anni di tirocinio porta sempre più a forme di valutazione più ampie quali portfolio e colloqui professionali, che coprono più contenuti dell’apprendimento, e, di conseguenza, a un minor numero di valutazioni sommative delle prestazioni. Ciò sembra essere opportuno, in funzione dei presupposti di apprendimento, per tutti i tipi di tirocinio ma soprattutto per le persone in formazione più dotate.

Jürg Schweri: Abbiamo menzionato spesso l’orientamento alle competenze operative. Questo tema meriterebbe un approfondimento che purtroppo non abbiamo il tempo di affrontare adesso…

Daniel Schmuki: Ecco perché dobbiamo prevedere un altro incontro!

Jürg Schweri: Volentieri! Bisognerebbe parlare in particolare del ruolo delle conoscenze nell’orientamento alle competenze operative e di quello delle competenze trasversali.

Ma torniamo brevemente alla PQ. Alcune organizzazioni del mondo del lavoro intendono abolire l’esame finale scritto non solo di CG ma anche di conoscenze professionali. Presumo che la tua opinione in merito sia simile a quella relativa alla CG?

Esatto, anche in questo contesto mi ritengo un ottimista cauto e sono a favore di un (ancora) maggiore orientamento alle competenze. Mi aspetto, infatti, un effetto backwash sull’insegnamento.

Daniel Schmuki: Esatto, anche in questo contesto mi ritengo un ottimista cauto e sono a favore di un (ancora) maggiore orientamento alle competenze. Mi aspetto, infatti, un effetto backwash sull’insegnamento. Inoltre, alla fine del tirocinio le persone in formazione dovrebbero aver raggiunto il livello di competenza massimo in molti aspetti. Ciò dovrebbe essere testato con varie forme d’esame, perché soprattutto le persone in formazione, ma anche le aziende e altre cerchie interessate, hanno diritto a una valutazione esterna del proprio livello di competenza.

Le affermazioni fornite nella discussione esprimono opinioni professionali personali che non sono necessariamente condivise dalla SUFFP.

Indicazione della fonte

Citazione

Schmuki, D., & Schweri, J. (2025). Esami orientati alle competenze operative nella procedura di qualificazione: obiettivo irraggiungibile?. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 10(4).

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