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Studio della Scuola universitaria professionale della Svizzera occidentale (HES-SO)

Occupabilità e ruolo delle competenze acquisite in modo non formale e informale

Come si fa a rimanere occupabili anche senza possedere un attestato federale di capacità o un diploma? Uno Studio della Scuola universitaria professionale della Svizzera occidentale (HES-SO) mostra che anche le competenze acquisite in modo informale e non formale sono risorse chiave per integrazione nel mercato del lavoro. Per esempio, tre su quattro aziende non richiedono il possesso un titolo di studio formale per ricoprire determinate posizioni. A essere importanti sono piuttosto l’esperienza pratica e l’idoneità personale. Ciononostante, le competenze acquisite in modo informale restano spesso invisibili. Il presente studio avanza una serie di proposte su come le aziende, la formazione e le forze politiche possano sfruttare ancora meglio il potenziale delle persone prive di un titolo di studio formale.


In tempi di cambiamenti demografici e di crescente carenza di personale qualificato, un gruppo spesso emarginato a livello sociale sta oggi assumendo un rilievo centrale per le politiche del lavoro e le strategie di formazione: quello delle persone prive di un titolo di studio formale. Pur avendo talora un’esperienza professionale pluriennale e possedendo competenze sostanziali, sul mercato del lavoro svizzero queste persone hanno, per ragioni strutturali, minori opportunità.

In questo contesto, la Scuola universitaria professionale della Svizzera occidentale (HES-SO), su incarico della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI), ha condotto uno studio su vasta scala volto a individuare i criteri in base a cui le aziende assumono persone prive di un titolo formale e come riesca la loro integrazione a lungo termine nel mercato del lavoro. Un obiettivo centrale di tale studio è consistito nel rilevare empiricamente e nel classificare in modo sistematico il ruolo delle competenze acquisite in modo informale e non formale.

Design e obiettivo dell’indagine

L’indagine si è concentrata su due domande chiave:

  1. Quali criteri vengono applicati dalle aziende nell’assunzione di persone prive di un titolo formale?
  2. Come si realizza con successo la loro integrazione a lungo termine nel mercato del lavoro?

Oltre a ciò, è stato analizzato come vengono valutate le candidature di persone che cambiano settore lavorativo e come queste vengono integrate nelle aziende.

Lo studio si è basato su un design “mixed methods”, composto da un sondaggio online standardizzato rivolto a 726 aziende svizzere afferenti a diversi settori e di diverse dimensioni, nonché da 22 interviste strutturate con responsabili del personale, formatori in azienda e rappresentanti del mondo della formazione e delle forze politiche.

La rilevazione quantitativa fornisce valutazioni affidabili sulle strategie di reclutamento e sui criteri di valutazione applicati dalle aziende per l’assunzione di persone prive di un titolo formale. Essa permette altresì un’analisi approfondita di specifiche diversità settoriali nonché delle prospettive degli attori della formazione e dei decisori politici. Ancora, essa offre approfondimenti in merito a prassi decisionali, esperienze soggettive e condizioni quadro istituzionali. A livello analitico, è stato utilizzato un modello tridimensionale di occupabilità che integra fattori individuali, aziendali e istituzionali.

Prassi di reclutamento e valutazione delle competenze informali

Spicca peraltro il fatto che il 56% delle aziende interpellate impiega attualmente almeno una persona senza alcun titolo di studio formale, a fronte del 39% che non ne non impiega alcuna.

L’analisi chiarisce come le competenze acquisite in modo informale e non formale siano un criterio rilevante per l’assunzione di personale da parte delle aziende. Tali competenze risultano tuttavia spesso invisibili. Spicca peraltro il fatto che il 56% delle aziende interpellate impiega attualmente almeno una persona senza alcun titolo di studio formale, a fronte del 39% che non ne non impiega alcuna. Nel complesso di tutte le aziende interpellate, emerge che due terzi di esse (67%) ritengono le competenze di queste persone (molto) importanti. In particolare, sono richiesti soft skill quali la capacità di lavorare in team (77%), l’affidabilità (73%) e la disponibilità ad apprendere (69%). Per molte aziende l’idoneità pratica dei candidati è una priorità. Al momento di assumere una persona, l’esperienza professionale (65%) e le raccomandazioni personali (25%) sono più importanti rispetto alle note scolastiche (25%) o ai diplomi formali (42%). Colpisce come il 73% delle aziende dichiari che per ricoprire determinate posizioni non è richiesto alcuno titolo di studio formale, mentre l’esperienza pratica e l’idoneità personale sono ritenute indispensabili.

Se si considerano le dimensioni e il settore delle aziende emerge un quadro ancora più dettagliato: mentre nei settori tecnico-commerciali e nell’edilizia domina un approccio pragmatico all’assunzione di nuovo personale, nei servizi pubblici, nella sanità e nel settore finanziario esistono spesso standard formali minimi. Oltre a ciò, le imprese di piccole dimensioni appaiono ricorrere più spesso a procedure di selezione direttamente legate alla pratica lavorativa, quali periodi di prova, raccomandazioni o prove pratiche. Le grandi organizzazioni, in presenza di un numero elevato di candidati a una posizione, li filtrano al contrario più spesso sulla base del possesso di titoli formali.

Integrazione in azienda: prassi e sfide

L’87% di queste persone è impiegato in mansioni chiavi ordinarie, il che contraddice l’assunto comune che esse ricoprano principalmente mansioni ausiliarie.

Molteplici strategie di integrazione si osservano in particolare in quelle aziende che assumono deliberatamente persone prive di un titolo formale. L’87% di queste persone è impiegato in mansioni chiavi ordinarie, il che contraddice l’assunto comune che esse ricoprano principalmente mansioni ausiliarie. Il processo di reclutamento è in molti casi adattato: il 58% delle aziende dichiara di adeguare le proprie procedure di reclutamento a quei candidati privi di un titolo di studio – per esempio facendo ricorso a prove pratiche, a una diversa modalità di conduzione dei colloqui o all’acquisizione aggiuntiva di referenze. Più spesso che per altri gruppi, queste aziende si affidano inoltre a piani di inserimento strutturati o all’ottenimento di qualifiche interne.

Allo stesso tempo, viene tuttavia segnalata anche la presenza di lacune, in particolare nell’ambito delle competenze specialistiche e metodologiche. Soprattutto nelle aziende che scelgono deliberatamente di assumere persone prive di un titolo formale, l’85% rileva in seguito la necessità di fornire aggiornamento ai nuovi collaboratori in tali ambiti, mentre le loro competenze sociali e personali sono valutate in modo significativamente migliore. Questa distribuzione mostra che le competenze informali riguardano soprattutto l’ambito dei soft skill, mentre i titoli formali risultano più spesso legati a conoscenze e abilità specialistiche.

Un particolare gruppo nel contesto delle competenze informali è costituito da quelle persone che passano dalla professione originalmente appresa a una nuova, diversa professione. Esse sono impiegate dal 76% delle aziende interpellate. Similmente a quanti possiedono una bassa qualifica formale, le loro opportunità si basano fortemente su competenze che hanno acquisito in modo informale o non formale. Quasi il 59% delle aziende sottolinea che tali persone dispongono di competenze trasferibili dalle professioni che hanno precedentemente svolto – per esempio la gestione di progetti, la capacità di risoluzione dei problemi o il lavoro in team. Per circa un terzo delle aziende (34%), queste competenze rientrano persino tra i motivi più importanti per l’assunzione di nuovi collaboratori. Esse danno maggiore importanza al loro potenziale di sviluppo piuttosto che alla loro corrispondenza a requisiti formali.

Invisibilità delle competenze informali ed effetto simbolico dei diplomi

Nelle interviste, molti responsabili del personale riferiscono di considerare i diplomi formali come prova di capacità di apprendimento, affidabilità e socializzazione. Ciò porta a una sistematica discriminazione di coloro le cui competenze sono state acquisite al di fuori di percorsi formativi formali.

L’analisi qualitativa getta luce su un aspetto centrale: il riconoscimento delle competenze informali avviene spesso solo quando sono già disponibili titoli di studio formali. Nelle interviste, molti responsabili del personale riferiscono di considerare i diplomi formali come prova di capacità di apprendimento, affidabilità e socializzazione. Ciò porta a una sistematica discriminazione di coloro le cui competenze sono state acquisite al di fuori di percorsi formativi formali. L’invisibilità dei punti di forza informali agisce insomma come una barriera strutturale – anche dove in linea di principio c’è un’attitudine di apertura.

Oltre a ciò, appare chiaro che i datori di lavoro riconoscono le competenze informali spesso solo in funzione della congiuntura. In tempi di carenza di manodopera qualificata o con specifici profili, aumenta la disponibilità a rinunciare a candidati in possesso di titoli formali. In fasi con un’alta densità di candidati oppure in settori professionali regolamentati dominano al contrario i requisiti formali. Tale selettività rende difficile prendere sistematicamente in considerazione le competenze informali.

La prospettiva dei lavoratori

Molte persone prive di un titolo formale dispongono di competenze professionali sostanziali – sia legate al loro background migratorio, sia in relazione ad occupazioni svolte nel settore dell’assistenza, sia ancora grazie ad esperienze di volontariato o di lavoro pratico. Ciononostante, spesso non riescono a farle valere nell’ambito di procedure di qualificazione formalizzate. Gli esperti interpellati indicano a riguardo numerosi ostacoli: mancanza di informazioni, carenza di consulenza, barriere linguistiche e alta complessità istituzionale. Inoltre, in molti luoghi manca fiducia nelle procedure di riconoscimento. Si crea in tal modo un circolo vizioso. Le competenze informali non vengono comprovate o rese visibili, e pertanto non vengono riconosciute – e a causa della loro mancanza di riconoscimento non vengono quindi ulteriormente sviluppate.

Raccomandazioni per la pratica, la formazione e la politica

Sulla base di quanto rilevato, lo studio formula raccomandazioni differenziate rivolte a quattro diversi gruppi di destinatari. Per rendere visibili, riconoscere e sviluppare ulteriormente le competenze informali sono tuttavia necessarie misure a tutti i livelli.

  • Lavoratori
  • Imprese
  • Organizzazioni di formazione professionale e
  • Decisori politici

I lavoratori necessitano di migliori opportunità per riflettere sulle loro competenze e documentarle. Modalità semplici, a bassa soglia di accesso, come la tenuta assistita di un portfolio, i bilanci delle competenze o una consulenza sulle procedure di validazione possono fornire orientamento e creare motivazione. In questo contesto, la promozione di un atteggiamento positivo nei confronti della formazione è centrale. Molte delle persone intervistate vivono le formazioni formali come qualcosa di estraneo, stressante o stigmatizzante. Le strategie di empowerment e i setting di apprendimento orientati alla comunità (per esempio con punti di accesso a bassa soglia o il supporto tra pari) rafforzano l’autoefficacia e la motivazione all’apprendimento. Flessibilità temporale, sensibilità interculturale e contenuti vicini alla vita reale sono altrettanto decisivi quanto lo sono i referenti personali.

Alle aziende è richiesto di allargare il proprio sguardo oltre i titoli formali. Una pratica di reclutamento dei collaboratori che presti particolare attenzione al potenziale delle competenze informali richiede procedure di selezione trasparenti e multidimensionali. Tra queste rientrano prove pratiche, colloqui a più fasi, processi di onboarding strutturati o rilevazioni interne dei livelli di apprendimento. Particolarmente efficaci sono quei formati che offrono ai collaboratori una partecipazione attiva allo sviluppo delle proprie competenze – per esempio sotto forma di obiettivi di apprendimento definiti in modo partecipativo, apprendimento tra pari o strumenti di feedback. Oltre a ciò, i processi di HR dovrebbero essere più strettamente interconnessi, estendendosi dal reclutamento all’onboarding fino allo sviluppo del personale. Griglie di competenze o cataloghi di obiettivi di apprendimento possono aiutare a documentare i risultati di apprendimento informali in forma sistematica.

Per le organizzazioni della formazione professionale una sfida centrale risiede nel miglioramento della permeabilità tra le competenze acquisite in modo informale e le qualifiche formali. Le riqualificazioni modulari, i formati ibridi e i riconoscimenti parziali consentono un accesso personalizzato. Particolarmente importante è in tale contesto l’adattamento didattico e comunicativo a quei gruppi target per i quali frequentare una formazione non è qualcosa di familiare. Tra le possibili misure a riguardo vi sono le griglie di competenze semplificate, le procedure di validazione orientate alle competenze operative, i certificati settoriali e i formati digitali quali i test fruibili autonomamente, i diari di apprendimento o le piattaforme di apprendimento tra pari. I progetti pilota dimostrano che questi approcci hanno particolare successo se sono ancorati a livello locale, orientati alla pratica e accompagnati in modo adeguato alle risorse.

Oltre a una migliore governance nell’ambito della validazione dei risultati formativi, è necessario un coordinamento nazionale per raggruppare le procedure esistenti (che sono a volte frammentate, richiedono un uso intensivo di risorse e sono difficilmente accessibili) in modo tale da garantire qualità e creare visibilità.

Infine, anche i decisori politici, tanto a livello di Confederazione quanto di Cantoni, hanno la responsabilità di migliorare le condizioni quadro per il riconoscimento delle competenze informali. Oltre a una migliore governance nell’ambito della validazione dei risultati formativi, è necessario un coordinamento nazionale per raggruppare le procedure esistenti (che sono a volte frammentate, richiedono un uso intensivo di risorse e sono difficilmente accessibili) in modo tale da garantire qualità e creare visibilità – per esempio sotto forma di un Hub centrale di riconoscimento o di piattaforme digitali. Strumenti politici di promozione – quali partecipazione ai costi salariali, modelli di mentoring o fondi di qualificazione regionali – possono incentivare le aziende a integrare persone prive di qualificazioni formali. Al contempo dovrebbero essere utilizzati spazi di libertà per l’innovazione e la sperimentazione di nuovi formati di validazione.

A questo riguardo occorre tenere in considerazione le specifiche differenze settoriali: nei settori regolamentati, in cui i diplomi formali sono obbligatori, dovrebbero essere sviluppati appositi percorsi di qualificazione e di post-certificazione, mentre nei settori meno regolamentati può essere utilizzata in misura maggiore la validazione diretta delle competenze. Per gruppi target specifici (quali migranti, lavoratori anziani o disoccupati di lunga durata) sono necessari formati di supporto personalizzati, che tengano conto delle loro peculiarità linguistiche, culturali e biografiche. Oltre a ciò, è raccomandabile l’espansione di progetti pilota vicini al mercato del lavoro – quali i centri di competenza regionali – così come la loro scalabilità mirata. Per garantire con continuità la qualità e l’utilità delle procedure di validazione, appare peraltro necessaria una misurazione sistematica della loro efficacia con indicatori chiaramente definiti. In parallelo, campagne di informazione e sensibilizzazione su vasta scala dovrebbero rafforzare la consapevolezza pubblica sul valore delle competenze informali, riducendo così i pregiudizi esistenti. Esempi pratici di successo, reti intersettoriali, piattaforme digitali di conoscenza o strumenti politici di riconoscimento dovrebbero essere impiegati intensamente in modo rendere visibile l’importanza delle competenze acquisite in modo informale per il mercato del lavoro.

Conclusioni: la visibilità crea occupabilità

Lo studio dimostra che le competenze acquisite in modo non formale e informale rappresentano un potenziale centrale, finora sottoutilizzato, per il reclutamento di personale in un mercato del lavoro in evoluzione. Il riconoscimento sistematico di queste competenze richiede tuttavia non solo soluzioni tecniche, ma anche un cambiamento culturale. I datori di lavoro, gli enti di formazione e le forze politiche sono chiamati a costruire nuovi ponti – tra apprendimento biografico e qualifiche formali, tra pratica e certificati, tra potenziale e riconoscimento. L’occupabilità delle persone non nasce solo dalle formazioni formali, ma cresce anche nella vita di tutti i giorni, nelle aziende e nella diversità dei percorsi di vita individuali. Chi riesce a rendere visibile tale diversità non solo espande le proprie opportunità di partecipazione, ma rafforza anche la futura sostenibilità di un mercato del lavoro inclusivo.

Affinché questo processo abbia successo, è necessario considerare quattro principi fondamentali. Anzitutto, tutte le misure devono rimanere integrate nel sistema complessivo della formazione professionale, in modo che la formazione duale, via tradizionale collaudata, non venga indebolita, bensì completata in modo mirato. In secondo luogo, la competenza linguistica è una chiave centrale per l’integrazione nel mercato del lavoro e nella formazione continua. Essa dovrebbe pertanto essere promossa nel contesto di tutte le misure. In terzo luogo, vale il principio che “a una formazione deve sempre seguire uno sbocco”: ogni fase intermedia raggiunta deve avere possibili sbocchi e creare prospettive sostenibili. Infine, in quarto luogo, la formazione professionale formale che rilascia un titolo federale rimane il fondamento del sistema, a cui le qualificazioni non formali aggiuntive possono ragionevolmente affiancarsi.

Il rapporto può essere scaricato al questo indirizzo.

Citazione

Imboden, S. & Glatzl, E. (2025). Occupabilità e ruolo delle competenze acquisite in modo non formale e informale. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 10 (14).

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