Formazione professionale come parte della politica di cooperazione allo sviluppo svizzera
Le priorità devono essere ripensate
La cooperazione ufficiale allo sviluppo della Svizzera finanzia un gran numero di programmi di formazione professionale in Paesi partner. Molti di questi progetti, che si basano per lo più sul modello duale, sono rivolti, nella misura del possibile, alle fasce più povere della popolazione. Tuttavia, questa strategia deve essere riconsiderata. Di fatto, troppo spesso essa non tiene conto della realtà del mercato del lavoro locale. Questo articolo delinea una strategia alternativa che si concentra sulla formazione di base e continua a livelli di qualifica più elevati, riconoscendo la necessità di una solida formazione scolastica di base.
Congiunture della cooperazione alla formazione professionale
La formazione professionale è stata per diversi anni uno dei temi più importanti della cooperazione svizzera allo sviluppo – soprattutto negli anni 2017-2020.
Il fatto che da oltre dieci anni la formazione professionale sia tornata a essere fra le priorità della cooperazione svizzera allo sviluppo non è un fatto scontato: sebbene la formazione professionale sia stata al centro della cooperazione internazionale in materia di formazione con i Paesi del sud globale per un certo periodo negli anni ‘60, molti Paesi cooperanti del nord hanno stabilito altre priorità a partire al più tardi dai primi anni ‘90, concentrandosi maggiormente sul sostegno alla formazione primaria (United Nations, 1990; World Bank, 1991, 1995). All’epoca, questo cambiamento veniva fra l’altro giustificato sulla base di alcuni studi di economia della formazione, secondo cui i tassi di rendimento della formazione professionale – organizzata nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo in forma scolastica – erano inferiori a quelli della formazione primaria o di quella di livello secondario II a orientamento accademico (Psacharopoulos & Loxley, 1985). Di conseguenza, per alcuni anni la cooperazione allo sviluppo svizzera ha ridotto il proprio impegno nella formazione professionale, anche se in misura minore rispetto ad altri attori della cooperazione allo sviluppo (Jäger, Maurer, & Fässler, 2016). In questo periodo, tuttavia, in molti Paesi del sud globale non è solamente cresciuta la formazione scolastica primaria, ma è stato anche ampliato l’accesso alla formazione secondaria II e a quella accademica (UNESCO, 2001).
Dopo il 2007, la situazione è ulteriormente cambiata: la crisi finanziaria globale ha portato infatti a un aumento della disoccupazione giovanile, in particolare nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, mettendo in dubbio l’utilità dell’espansione della formazione, che in molti contesti era a malapena orientata ai fabbisogni del mercato del lavoro. La promozione della formazione professionale è tornata così importante agli occhi di molti attori internazionali (ILO, 2012; McGrath, 2012; World Bank, 2010). Da parte della cooperazione allo sviluppo svizzera, ciò è stato accolto con una certa soddisfazione, in quanto veniva finalmente riconosciuto a livello internazionale il valore aggiunto di un tipo di formazione che in Svizzera è fortemente valorizzato. Di conseguenza, è cresciuto il numero di progetti nell’ambito di quello che la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) – l’autorità che dispone di gran lunga del maggior numero di fondi in questo settore – chiama ora Vocational Skills Development (VSD) (DSC, 2008). La formazione professionale è stata per diversi anni uno dei temi più importanti della cooperazione svizzera allo sviluppo – soprattutto negli anni 2017-2020, quando il governo federale ha aumentato della metà dei fondi destinati alla formazione – fra cui, soprattutto, quelli destinati appunto alla formazione professionale (Consiglio federale svizzero, 2016).
Strategia attuale
La strategia VSD della DSC affermatasi negli anni successivi al 2007 è caratterizzata da due elementi chiave che continuano ancora oggi a essere applicati (vedi anche DSC, 2017).
- In primo luogo, il Vocational Skills Development dovrebbe contribuire il più direttamente possibile alla riduzione della povertà, in particolare indirizzando i progetti direttamente alle persone in condizioni di povertà o ad altri gruppi svantaggiati. Questo approccio contrasta con le strategie precedenti, che concepivano la formazione professionale per lo più come un mezzo di promozione di singoli settori economici (quali l’artigianato o l’agricoltura) oppure per favorire la crescita della classe media (DSC, 1994). Il concetto di Vocational Skills Development, legato alla riduzione della povertà, ha comportato un ampliamento dei formati formativi promossi: se in precedenza l’attenzione si concentrava sulla formazione professionale formale, in seguito si è maggiormente orientata verso quella non-formale (a seconda del contesto anche nell’ambito di misure attive sul mercato del lavoro) nonché, in casi più rari, alla formazione informale in contesti aziendali.
- In secondo luogo, la cooperazione svizzera allo sviluppo dovrebbe consolidare il suo profilo proprio grazie al modello di formazione professionale duale, da lungo tempo consolidato in Svizzera. La DSC, in considerazione delle condizioni dei Paesi partner, aveva in precedenza sostenuto principalmente la formazione professionale di tipo scolastico e aveva a riguardo delle riserve. Tuttavia, dopo che l’allora Ufficio federale della formazione professionale e della tecnologia (UFFT) aveva iniziato a sostenere lo sviluppo della formazione professionale duale in India ottenendo ottimi riscontri, anche la DSC si è sentita spinta ad aumentare il peso dei modelli di formazione professionale duale nei propri progetti (Jäger et al., 2016; Maurer, 2019).
Sfide e implementazione
Nella pratica, però, l’attuazione di una strategia di formazione professionale di questo tipo si trova davanti a sfide importanti e difficili da risolvere.
Nella pratica, però, l’attuazione di una strategia di formazione professionale di questo tipo si trova davanti a sfide importanti e difficili da risolvere, alcune delle quali sono già state esaminate in studi valutativi (Arnold, Gonon & Schaltegger, 1992; Maurer, Arnold, Gonon, Michaelowa & Wieckenberg, 2011):
Anzitutto, l’orientamento alla riduzione della povertà della strategia di formazione professionale sopra descritta è in conflitto con la realtà del mercato del lavoro di molti Paesi partner. Per esempio, le qualifiche professionali (formali e non-formali) spesso non svolgono quasi alcun ruolo in quei segmenti del mercato del lavoro in cui il gruppo target dei “più poveri” può realisticamente trovare occupazione senza bisogno di una particolare formazione. Si tratta di una constatazione supportata dai risultati del nostro progetto Skills for Industry per quanto riguarda i Paesi del sud globale, confermata altresì nell’Europa sudorientale (Allais, 2023; Maurer, Haolader, &Shimu, 2023; Maurer & Marks, 2021; Maurer & Spasovski, 2024). Vale a dire: nella maggior parte dei settori molti lavori possono in realtà essere svolti senza alcuna qualifica professionale, sia nell’industria sia nell’artigianato. Cambiare questa situazione nel senso di una “VET for all” sarebbe possibile soltanto a seguito di un’espansione globale di programmi di formazione settoriali specifici, ben strutturati e costantemente aggiornati, che molti Paesi partner del sud globale non sarebbero tuttavia in grado di finanziare a lungo termine – e che in ogni caso non costituirebbero un valore aggiunto significativo né per i lavoratori né per le aziende. L’attuazione dell’orientamento alla riduzione della povertà nella formazione professionale è altresì resa difficile dalle realtà politiche: in molti Paesi, la creazione di programmi di formazione professionale a bassa soglia d’ingresso, per lo più non-formali, non è infatti considerata una priorità. Questo è, per esempio, il caso del Bangladesh (Maurer et al., 2023; Maurer &Morshed, 2022), dove continua a prevalere l’idea che i giovani debbano prima di tutto completare la formazione primaria (comprendente il livello secondario I) e solo successivamente accedere a una formazione professionale – anche se la comunità internazionale ha compiuto grandi sforzi per rendere la formazione professionale più accessibile a chi non ha completato l’istruzione primaria. Per motivi finanziari, molti sforzi di promozione di programmi di formazione non-formale creati appositamente per i più poveri mancano pertanto di una prospettiva sostenibile e indipendente da Paesi cooperanti stranieri. Ciò non può essere significativamente influenzato nemmeno dallo strutturare i progetti in maniera particolarmente creativa.
Inoltre, la promozione di approcci duali deve affrontare sfide fondamentali legate alla struttura degli specifici sistemi formativi locali. Sebbene molti Paesi e settori del sud globale dispongano di sistemi tradizionali di tirocinio (per esempio nell’artigianato) o di altri programmi di formazione in azienda (per esempio nell’industria), è molto raro che queste forme informali di qualificazione vengano integrate a lungo termine nella formazione professionale formale. Un problema fondamentale è rappresentato dal fatto che in molti Paesi la formazione professionale formale di livello secondario II, anche per aumentare la propria attrattività, ha lo scopo di preparare le persone alla formazione accademica (Maurer, Khammounty, Shimu, & Veung, 2024). Non sorprende pertanto che molti giovani scelgano la formazione professionale con questa opzione in mente piuttosto che per entrare nel mercato del lavoro direttamente equipaggiati con competenze professionali. Ciò mina gli sforzi (come abbiamo recentemente dimostrato con l’esempio della Macedonia del Nord, Maurer & Spasovski, 2024) tesi ad allineare maggiormente la formazione professionale al mercato del lavoro attraverso l’introduzione di modelli di formazione duale.
Prospettive
Detto questo, quale potrebbe essere una strategia alternativa di cooperazione nel campo della formazione professionale?[1]
- In primo luogo, bisognerebbe accettare il fatto che molti Paesi partner del sud globale hanno intrapreso un percorso diverso rispetto alla Svizzera: la scarsa importanza attribuita da essi alla formazione professionale è in molti casi paragonabile alla situazione dei Paesi anglosassoni – mentre le forme specifiche della formazione sono spesso paragonabili a quelle di Paesi in cui la formazione professionale è organizzata principalmente a livello scolastico (quali Francia o Svezia). Sperare che questi percorsi vengano abbandonati non è realistico ed è quindi poco conveniente. Di conseguenza, a essere abbandonata dovrebbe essere semmai l’idea che la cooperazione allo sviluppo svizzera debba sostenere principalmente lo sviluppo di forme di formazione professionale duale a livello secondario II (per esempio nel settore dell’artigianato o in quello dei servizi). Naturalmente, le componenti di formazione pratica sono una parte essenziale dei programmi di formazione professionale, ma la promozione della formazione pratica al di fuori del livello secondario II sembra essere più promettente.
In secondo luogo, per raggiungere l’obiettivo diretto della riduzione della povertà, va riconosciuto che in molti contesti ha più senso sostenere la formazione primaria (di solito fino alla fine del livello secondario I) piuttosto che quella professionale.
- In secondo luogo, per raggiungere l’obiettivo diretto della riduzione della povertà, va riconosciuto che in molti contesti ha più senso sostenere la formazione primaria (di solito fino alla fine del livello secondario I) piuttosto che quella professionale. Poiché la formazione professionale, che di solito è organizzata a livello scolastico, risulta più costosa per il settore pubblico rispetto a quella primaria, questo approccio risulta relativamente efficiente nel contesto di una strategia formativa orientata alla riduzione della povertà – e ciò è peraltro in linea con studi recentemente pubblicati dalla Banca Mondiale (vedi introduzione).
Tuttavia, queste due riserve non legittimano la conclusione che la formazione professionale non debba più svolgere alcun ruolo nella cooperazione con i Paesi in via di sviluppo ed emergenti.
- In terzo luogo, la formazione a livelli di qualifica più elevati (soprattutto post-secondaria e terziaria) dovrebbe essere promossa più di prima, concentrandosi sulla parte formale dell’economia e sui settori importanti per lo sviluppo economico del Paese. Con questo tipo di formazione, rispetto al livello secondario II, è più probabile che chi possiede una qualifica entri direttamente nel mercato del lavoro – e ciò rende più facile allineare tali formazioni alle esigenze del mondo del lavoro e collegarle alla formazione in azienda (per esempio, tramite stage). Peraltro, in molti Paesi in via di sviluppo ed emergenti, la carenza di manodopera qualificata è particolarmente accentuata proprio a questi livelli di qualifica. A seconda del contesto, per la formazione a livelli di qualifica più elevati si dovrebbero tenere in considerazione anche erogatori di formazione privati. Di norma, tuttavia, questi non dovrebbero essere direttamente sovvenzionati finanziariamente, quanto semmai fornendo loro competenze tecniche o attraverso la creazione di strumenti di finanziamento sostenibili (quali fondi per la formazione professionale), in modo che possano operare a lungo termine come operatori commerciali nel mercato della formazione. In questi contesti, il sostegno a programmi di formazione statale dovrebbe concentrarsi principalmente su settori con potenziale di crescita e per i quali non esistono ancora erogatori di formazione privati, dando per scontato che essi seguiranno.[2] Nei paesi in cui il miglioramento delle pari opportunità di formazione a livello post-secondario e terziario costituisce un vero e proprio obiettivo politico, dovrebbe altresì essere sostenuto lo sviluppo di finanziamenti rivolti all’accesso alla formazione (quali borse di studio).
- In quarto luogo si dovrebbe sostenere, anche nell’ambito della formazione professionale, l’aggiornamento (“upskilling”) di chi è già occupato nell’industria (soprattutto a livelli di qualifica più elevati) nonché nelle parti informali dei mercati del lavoro – anche in questo caso principalmente con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo dei rispettivi settori. Poiché tali programmi sono generalmente poco integrati nel sistema formativo, occorre tuttavia prestare attenzione al fatto che i corrispondenti finanziamenti siano sostenibili. A seconda del contesto, qui dovrebbero svolgere un ruolo importante anche istituzioni esterne al sistema formativo – quali i fondi per la formazione professionale, le cui risorse vengono già utilizzate a questo scopo in molti Paesi.
- In quinto e ultimo luogo, la Svizzera dovrebbe prendere posizione a livello ufficiale presso i suoi Paesi partner, affinché si continui a porre requisiti elevati alle persone in formazione, soprattutto a livello post-obbligatorio. Di fatto, la sfida che molti Paesi partner si trovano attualmente a dover affrontare consiste nel trovare un modo per far fronte alla crescente domanda di formazione orientata al livello accademico a livello secondario II e di titoli di livello terziario. Si tratta tuttavia di una domanda che spesso non corrisponde ai fabbisogni del mercato del lavoro locale. A questo riguardo, la DSC non dovrebbe avere esitazioni nel sottolineare che l’alta qualità è importante per la credibilità delle qualifiche formative, distinguendosi in qualche modo da un discorso globale che – anche sullo sfondo dei Sustainable Development Goals, i quali non spingono alla definizione di priorità – richiede sempre più formazione a livelli sempre più alti per il maggior numero possibile di persone (Sabzalieva et al., 2022; United Nations, 2015).
Bibliografia
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- Arnold, R., Gonon, P., & Schaltegger, E. (1992). Grobanalyse des Berufsbildungsprogramms der DEH. Bern: Direktion für Entwicklungszusammenarbeit und humanitäre Hilfe.
- ILO. (2012). World of Work Report 2012: Better jobs for a better economy. Geneva: International Labour Organization.
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- Maurer, M., & Marks, A. (2021). Industrielle Transformation in Entwicklungs- und Schwellenländern: Reicht Bildung on-the-job? Transfer, Berufsbildung in Forschung und Praxis , 3.
- Maurer, M., & Morshed, M. (2022). Promoting the Recognition of Prior Learning (RPL) in the context of development cooperation: The case of Bangladesh. International Journal of Educational Development, 91, 1–9.
- Maurer, M., & Spasovski, O. (2024). A Review of Vocational Education and Training in North Macedonia. Final report submitted to Helvetas North Macedonia. Zurich/Skopje: Zurich University of Teacher Education/Ss. Cyril and Methodius University.
- McGrath, S. (2012). Vocational education and training for development: A policy in need of a theory? International Journal of Educational Development, 32(5), 623–631.
- Psacharopoulos, G., & Loxley, W. (1985). Diversified Secondary Education and Development: Evidence from Colombia and Tanzania. Baltimore: John Hopkins University Press.
- Sabzalieva, E., Gallegos, D., Yerovi, C., Eglis Chacón, Mutize, T., Morales, D., & Cuadros, J. A. (2022). The right to higher education: A social justice perspective. Paris: Unesco.
- Schweizerischer Bundesrat. (2016). Botschaft über die internationale Zusammenarbeit 2017–2020 vom vom 17. Februar 2016. Bern: Schweizerische Eidgenossenschaft.
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Citazione
Maurer, M. (2024). Le priorità devono essere ripensate. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 9(10).