Formazione professionale in ricerca e pratica
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Gli articoli di Dieter Euler sono finalmente stati pubblicati in un libro

Successi e problemi della formazione professionale in Svizzera

Commenti critici sulla formazione professionale in Svizzera sono relativamente rari. Fanno eccezione gli articoli di Dieter Euler, appena pubblicati in forma di libro. Nei suoi interventi, il Prof. Euler sottolinea l’alta qualità della formazione professionale svizzera ma richiama l’attenzione anche sui suoi aspetti negativi. A suo avviso, la forza della formazione professionale elvetica si basa su una rigida selezione degli studenti nell’accesso al liceo. Per quanto possa avere senso dal punto di vista dell’economia, ciò va tuttavia a scapito delle pari opportunità.


Il Prof. Dieter Euler è stato titolare della cattedra di Educational Management presso l’Università di San Gallo dal 2000 fino al suo pensionamento nel 2018: “rafforzare le parità di opportunità!”.

Prof. Euler, lei scrive articoli sulla formazione professionale svizzera da oltre dieci anni. Che cosa caratterizza questo decennio?

La formazione professionale è stata sorprendentemente solida di fronte agli eventi degli ultimi anni – mi riferisco all’ondata migratoria e alla pandemia di coronavirus. Tale stabilità è dovuta, tra l’altro, a una sua buona gestione. Grazie alla vicinanza della formazione professionale al mercato del lavoro, un gran numero di studenti riesce poi a trovare effettivamente un impiego. Inoltre, essi sono particolarmente mobili: circa due terzi lasciano l’azienda poco dopo aver completato la formazione e quasi la metà cambia professione entro cinque anni e mezzo.

Nella formazione professionale di base si impara qualcosa di più della propria professione?

L’elevata mobilità sembra confermarlo. A quanto pare, una delle caratteristiche della formazione professionale svizzera consiste nell’ampiezza delle aree professionali coperte più che nella preparazione per una specifica professione in azienda. Tipico in questo senso è l’apprendistato di commercio (SIC), che è concepito come un “apprendistato a tutto campo” – mentre in Germania esistono quasi 40 diversi apprendistati commerciali di base. Tuttavia, una risposta valida a questa domanda può essere data soltanto guardando al livello curriculare ed esaminando la trasferibilità dei contenuti appresi.

Lei ha citato la gestione della formazione professionale. Perché?

La legge sulla formazione professionale regolamenta i punti fondamentali della formazione professionale a livello centrale – incluse le responsabilità dei Cantoni e degli ulteriori livelli subordinati. Anche i luoghi di formazione sono inclusi in questi chiari meccanismi. In Germania, le responsabilità sono invece frammentate fra diversi Ministeri sia a livello federale sia locale, enti di varia natura, parti sociali e, non da ultimo, le camere professionali.

Per la Svizzera, dunque, si tratta di buone notizie.

Ciò ha tuttavia un prezzo. In molti Cantoni, la forza della formazione professionale è dovuta a una rigida selezione degli allievi nell’accesso al liceo. Come conseguenza, nella formazione professionale confluisce un numero relativamente elevato di ragazzi che possiedono un alto talento scolastico. Ciò può avere senso dal punto di vista dell’economia e probabilmente contribuisce all’alta qualità dell’istruzione professionale di base – ma ciò va a scapito delle pari opportunità. La selezione che ha luogo a livello secondario I e la successiva logica di reclutamento rafforzano infatti le differenze di rendimento dovute alla provenienza sociale degli allievi, invece di attenuarle. La provenienza sociale risulta insomma avere un effetto considerevole sul successo scolastico dei giovani, indipendentemente dal loro rendimento a scuola.

Dove vede un potenziale di sviluppo per la formazione professionale svizzera?

Anzitutto la distinzione tra formazione professionale e cultura generale non è più sostenibile alla luce delle odierne sfide sociali ed economiche. Da un lato le competenze professionali diventano obsolete sempre più velocemente; dall’altro appare sempre più urgente una progettazione dell’insegnamento tale per cui i ragazzi imparino in modo autonomo e tramite l’esempio – vale a dire secondo modalità che vengono tradizionalmente associate agli insegnamenti di cultura generale. D’altra parte, ci sono molti temi della cultura generale – per esempio quelli economici e sociali – che sono di fatto professionali. È dunque quantomeno discutibile definire le scuole medie specializzate come scuole di cultura generale. Esse conducono sì agli studi universitari, ma preparano contemporaneamente alla professione.

In Germania, i percorsi di formazione duale sono molto richiesti. Come funzionano?

Nel modello di studio integrato con la pratica, gli allievi svolgono uno o più tirocini. Ciò fa del resto parte anche del piano di studi di molte scuole universitarie svizzere. Più originale è tuttavia il modello di studio integrato con la formazione. In questo secondo caso, i giovani completano contemporaneamente da un lato una formazione professionale di base e dall’altro i moduli di un corso di studi di carattere accademico. I due percorsi vengono completati in tempi diversi. Questo modello può essere trasferito anche in Svizzera e, a mio avviso, sarebbe qui particolarmente fecondo. Diverse indagini indicano infatti come molti giovani apprezzino sia la sicurezza di una formazione professionale, sia le possibilità di ascesa sociale conferite da un titolo accademico.

Nelle sue rubriche, lei scrive spesso sulla digitalizzazione – e che a questo riguardo molte cose suonano più come lapsus che come promesse. Può approfondire questo punto?

Per molto tempo, la discussione sulla digitalizzazione è stata condotta a livello di infrastrutture e di equipaggiamento delle scuole con WLAN, laptop e simili. Questi sono tuttavia argomenti che toccano soltanto la superficie dell’apprendimento. La questione centrale è come utilizzare i media digitali in modo che abbiano un valore didattico aggiunto. La digitalizzazione offre senza dubbio nuove opportunità per l’insegnamento. Non basta tuttavia sostituire la lavagna con una presentazione Power Point. La digitalizzazione deve essere inserita in concetti didattici aggiornati, a sequenze di autoapprendimento e a nuove forme di dialogo tra insegnante e allievi nonché fra gli allievi stessi. Nella storia della pedagogia ci sono state molte promesse di rivoluzione che si sono presto rivelate vane: i laboratori linguistici, il Computer Based Learning, l’E-learning.

E ora si parla di Virtual Reality. Cosa ne pensa?

Si tratta di applicazioni che hanno bisogno di molti presupposti e che hanno senso in certi contesti, come quando si usano macchine molto costose o si devono praticare lavori pericolosi. In generale, per la formazione professionale di base, il loro valore aggiunto rimane tuttavia limitato.

La formazione professionale appare oggi sulla difensiva anche in Svizzera. Nel 2010, il 71% dei giovani frequentava un apprendistato (il 29% in una formazione generale); nel 2019 tale valore è diminuito del 5%.

Non si tratta di un calo drammatico, soprattutto se si guarda ai singoli Cantoni, in alcuni dei quali la formazione professionale di base è in realtà in crescita. Ciononostante, è vero che c’è un certo pericolo, come si può osservare già in Germania. Qui la formazione professionale è segmentata in tre livelli di prestazione: c’è il gruppo delle formazioni impegnative, in cui molti giovani hanno parallelamente la possibilità di seguire un percorso di studi accademico; a un livello intermedio troviamo le occupazioni industriali e artigianali tradizionali che richiedono un buon diploma di scuola media; più in basso ci sono le formazioni meno attraenti, per esempio nel settore della ristorazione. A questo livello, gli apprendisti sono difficili da trovare, con il risultato che le aziende si rivolgono a lavoratori non qualificati e si ritirano dal sistema della formazione professionale. Gli apprendistati non stanno scomparendo perché c’è concorrenza con le formazioni generali, ma perché non sono abbastanza attraenti.

Il numero di abbandoni nella formazione professionale di base è da molti anni a un buon 20%. Che succede?

All’80% di questi abbandoni segue in realtà direttamente un nuovo contratto. Questo dato mette in prospettiva il quadro, e se guardiamo ai percorsi accademici di primo livello vediamo del resto che i tassi di abbandono sono del tutto simili. Resta il fatto che in alcune professioni il tasso è del 40%, e che questo fenomeno riguarda soprattutto i giovani con un background migratorio. Anche il 4% di abbandoni sarebbe comunque troppo – e sono proprio questi i giovani che prima o poi andranno incontro a problemi.

Lei commenta questo fenomeno in modo sorprendentemente benevolo. Le aziende non fanno dunque nulla di sbagliato?

Gli scioglimenti di contratti di tirocinio sono causati da motivi interni all’azienda e alla scuola, ma anche da motivi che riguardano direttamente i giovani. Si tratta di catene causali complesse. Nelle aziende, spesso non è la formazione in sé a essere negativa, bensì il clima relazionale. Anche il miglior piano formativo è impotente se le persone non vanno d’accordo. Se il clima è buono, al contrario, non ci sono normalmente problemi anche se il lavoro è a volte noioso. La formazione è insomma strettamente legata alle relazioni!

Per più di dieci anni lei ha scritto interventi in parte critici sulla formazione professionale svizzera. Come sono stati recepiti?

La formazione professionale svizzera si presenta con un alto grado di consapevolezza, e in parte a ragione. Le mie critiche sono formulate con cautela e sotto forma di suggerimenti, per esempio nei rapporti sulle tendenze della SUFFP. Non credo che ciò sia un male. Noto tuttavia una certa regolarità di atteggiamenti difensivi ogni volta che arrivano commenti critici. Invece di stimolare il confronto, essi suscitano giustificazioni o danno luogo a silenzi. A volte sarebbe meglio se i ricercatori si confrontassero apertamente, invece di porsi sulla difensiva.

Dieter Euler: Hilfreiche Ungenauigkeiten. Impulse für die Berufsbildung. Bielefeld, wbv, CHF 19.65.

Citazione

Fleischmann, D. (2023). Successi e problemi della formazione professionale in Svizzera. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 8(5).

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