Formazione professionale in ricerca e pratica
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Passato, presente e futuro della ricerca sulle tecnologie educative nella formazione professionale

L’eredità di Dual-T

Che ruolo possono assumere le tecnologie educative nel supportare ed eventualmente potenziare la formazione professionale? Questa è la domanda al centro del lavoro svolto dal progetto “Dual-T”, e del libro recentemente pubblicato in occasione della sua conclusione. In questo articolo proviamo a riassumerne i punti principali e a rileggere l’intera esperienza tra passato, presente e futuro per tracciarne un bilancio spontaneo. Forse il più grande risultato del Dual-T è il modello pedagogico dell’Erfahrraum. Esso consente lo scambio di esperienze di apprendimento attraverso i confini dei tre luoghi di apprendimento della formazione professionale. Questo rende molto più evidente agli studenti il collegamento tra ciò che imparano sul posto di lavoro e ciò che imparano a scuola.


Le origini e la visione d’insieme

All’inizio del millennio, la Segreteria di stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione SEFRI ha lanciato l’iniziativa delle cosiddette “Leading House”, con l’obiettivo di rafforzare l’attenzione posta dalle università – e più in particolare la ricerca da esse svolta – sulla formazione professionale. Nacquero così differenti partnership interuniversitarie, con lo scopo di approfondire alcuni ambiti prioritari: la qualità, l’economia, la governance della formazione professionale e non da ultimo, le “tecnologie per la formazione professionale”.  Il progetto cappello di quest’ultimo caso, nato nel 2006 e finanziato ininterrottamente dalla SEFRI per 15 anni, riportava l’etichetta “Dual-T”, dove la lettera relativa alle tecnologie veniva subito caratterizzata per l’applicazione ad un sistema di formazione duale.

L’interrogativo di fondo – sviluppato dal capofila Pierre Dillenbourg dell’EPFL di Losanna insieme ai colleghi della Scuola Universitaria Federale per la Formazione Professionale SUFFP di Lugano, dell’Università di Friburgo e nella prima metà del progetto dell’università di Ginevra – riguardava la possibilità che le tecnologie educative potessero avere un ruolo specifico nel contesto della formazione professionale duale, e dunque per favorire la connessione tra i luoghi della formazione professionale: scuola, azienda e corsi interaziendali. Per trovare le risposte adatte, in un percorso pressoché unico nel suo genere durato fino alla fine del 2021, questo progetto di ricerca ha coinvolto oltre 50 ricercatori e ricercatrici, ha realizzato 12 tesi di dottorato e portato allo sviluppo di numerosi ambienti digitali di apprendimento, attorno ai quali sono state svolte decine di studi empirici con migliaia di persone in formazione e centinaia di docenti e formatori/-trici in azienda. Tutto questo è stato recentemente riassunto per le professioniste e i professionisti della pratica in un libro (in inglese) liberamente scaricabile, che racconta la storia delle principali professioni coinvolte nel progetto, e nel sito web che lo completa, eduscenarios.ch, dove sono descritti svariati scenari didattici utilizzabili con diverse tecnologie.

Quattro ambiti per un bilancio critico

Dual-T ha sviluppato nel corso degli anni molteplici strumenti digitali innovativi, da applicazioni per la sovrapposizione e annotazione di immagini, ad applicazioni di realtà aumentata e realtà virtuale, ad ambienti di apprendimento complessi che costituiscono delle vere e proprie piattaforme (LCMS).

Al termine di ogni progetto è buona norma stilare un bilancio sui risultati raggiunti. È un’operazione che nel nostro caso ci pone in una posizione propulsiva e non sedativa (non vogliamo sederci sugli allori, ma rilanciare lo sguardo verso nuove sfide), che consenta di celebrare la fine del progetto non con intento autoreferenziale, ma con sobria consapevolezza di quanto si sia fatto e di quanto resti idealmente ancora da fare. Con questo spirito possiamo lanciarci in un’operazione di sintesi estrema, e al limite della ipersemplificazione identificare quattro ordini principali di risultati e di sfide tuttora aperte.

  1. Un primo ambito concerne la ricerca scientifica. Abbiamo già citato i 12 dottorati, ciascuno dei quali ha dato un contributo importante alla ricerca in educazione, e non è il caso di enumerare il numero di pubblicazioni e presentazioni sviluppate dal progetto. È però un dato di fatto che Dual-T abbia contribuito a sollevare l’interesse della comunità scientifica – soprattutto quella che si occupa di educazione e di tecnologie educative – per la formazione professionale, un contesto prima largamente in penombra nel panorama internazionale. Ma c’è un secondo aspetto, che riguarda un tipo di ricerca svolta con un forte orientamento alla pratica e secondo modalità di progettazione partecipativa con il terreno (scuole, aziende, CI). Questa combinazione è stata impegnativa quanto fonte di soddisfazione, generando una tensione – in senso generativo – sempre attiva con i mandanti e in particolare con il comitato scientifico. Ha richiesto da una parte un costante lavoro per garantire equilibrio tra rilevanza per la pratica e rigore metodologico. Dall’altra di trovare il miglior compromesso possibile tra gli interessi delle due parti: ciò che vale la pena indagare per le scienze informatiche non è necessariamente ciò che vale la pena indagare per la didattica; ciò che non è più attuale per le prime non ha necessariamente ricevuto tutte le risposte per la seconda. Dall’altra ancora, di iniziare con interventi su piccola scala per solo successivamente ambire laddove possibile alla generalizzazione. Le condizioni per garantire al tempo stesso risultati importanti in termini di ricerca scientifica e impatto rilevante in termini di pratica (sui due versanti educativo e professionale) restano un intrigante tema da approfondire.
  2. Un secondo ambito riguarda i “prodotti” digitali. Dual-T ha sviluppato nel corso degli anni molteplici strumenti digitali innovativi, da applicazioni per la sovrapposizione e annotazione di immagini, ad applicazioni di realtà aumentata[1] e realtà virtuale[2], ad ambienti di apprendimento complessi[3] che costituiscono delle vere e proprie piattaforme (LCMS). La bontà pedagogica di questi prodotti in termini di valore aggiunto rispetto all’alternativa analogica è stata ampiamente dimostrata dagli studi che abbiamo condotti (ci torneremo tra poco) e in alcuni casi la loro adozione nelle pratiche correnti al di là del tempo della sperimentazione è stata raggiunta (ad esempio con i panettieri-pasticceri, la cui associazione professionale ha adottato la nostra piattaforma su scala nazionale, o nel caso dei cuochi che in Ticino hanno adottato la piattaforma anche per altre cinque professioni del polo dell’alimentazione e dei servizi). A parte pochi e sporadici esempi, però, dobbiamo ammettere che la perennizzazione di questi strumenti non è stata raggiunta. Accanto al dilemma della scalabilità richiamato in precedenza, sembra che anche il dilemma della sostenibilità sia spesso infelice compagno dei progetti di ricerca sulle tecnologie orientati alla pratica: quando il progetto termina, indipendentemente dall’efficacia dimostrata (!), come garantire che le soluzioni testate possano continuare ad esistere e ad avere impatto sulla pratica?
  3. Un terzo ambito riguarda le politiche educative. Il contatto con la pratica ha anche significato l’incontro e il coinvolgimento di numerosi organi della formazione professionale, tra cui molte organizzazioni del mondo del lavoro. Crediamo che questi incontri abbiano quantomeno contribuito a sensibilizzare gli stakeholders sul ruolo che le tecnologie educative possono svolgere a supporto della formazione, e questo molto prima del manifestarsi dell’enfasi sulla trasformazione digitale. Non abbiamo evidenze empiriche a questo proposito, ma è facile, ad esempio, constatare che oggi sul mercato esistano molte offerte di piattaforme per la documentazione dell’apprendimento che non esistevano alcuni anni fa, e che per alcune funzioni si sovrappongono alla e-DAP e a Realto, due delle soluzioni sviluppate da Dual-T. Ci piace pensare che anche in questo senso il nostro progetto abbia contribuito alla diffusione di alcune intuizioni e idee.
  4. Infine, occorre interrogarsi sui risultati in ambito pedagogico-didattico. Data la rilevanza che quest’ultimo punto assume per i nostri interessi, gli daremo uno statuto a sé.

Sul valore pedagogico delle tecnologie per il sistema duale

Analogamente, con un gruppo di estetiste e di creatrici di abbigliamento, immagini della propria pratica professionale hanno potuto sfruttare il beneficio delle annotazioni grafiche individuali o collaborative per sviluppare competenze di osservazione (identificazione e riconoscimento di dettagli rilevanti) e di visione professionale, e allenare uno sguardo specifico sulle tracce digitali.

A detta di molti, una delle eredità maggiori lasciate da Dual-T è il modello pedagogico che il progetto ha sviluppato, il cosiddetto Erfahrraum. Nonostante non si tratti di un modello rivoluzionario, esso ha il pregio di essere specifico alla formazione professionale duale e focalizzato sul ruolo delle tecnologie. La risultante è un modello semplice (ma non per questo banale!), che concepisce le tecnologie come possibilità di creare uno spazio digitale condiviso tra i luoghi e gli attori della formazione, che si affianca allo spazio fisico, e che diventa collettore di esperienze significative vissute sul posto di lavoro, sulle quali attivare uno sguardo riflessivo. In continuità e coerenza con l’approccio della Didattica per Situazioni cui si ispira attualmente la formazione dei formatori del professionale[4], l’Erffahrraum ci conferma una volta in più che il valore aggiunto delle tecnologie non è nello strumento tecnologico in sé, ma nelle funzioni pedagogico-didattiche che esso assume nelle attività che lo vedono impiegato. Proviamo a esemplificare per rendere più concreto, seguendo una progressione ideale tra gli strumenti di visualizzazione e di rappresentazione che abbiamo utilizzato, dalle semplici fotografie a rappresentazioni olografiche (si rimanda alla pubblicazione per i dettagli).

Apprendiste/i cuoche/i hanno utilizzato il loro smartphone per catturare tracce della loro esperienza professionale sul posto di lavoro. Condivise in un ambiente digitale, queste immagini si sono rivelate utilissime a scuola per permettere un confronto tra pratiche simili in contesti professionali diversi (ad es. mensa aziendale vs ristorante stellato), in azienda per analizzare la propria expertise con il formatore in azienda, documentandola, nonché per elicitare pratiche metacognitive anche in modalità autonoma.

Analogamente, con un gruppo di estetiste e di creatrici di abbigliamento, immagini della propria pratica professionale hanno potuto sfruttare il beneficio delle annotazioni grafiche individuali o collaborative per sviluppare competenze di osservazione (identificazione e riconoscimento di dettagli rilevanti) e di visione professionale, e allenare uno sguardo specifico sulle tracce digitali. Nel secondo caso, la sovrapposizione di cartamodelli ha consentito anche di identificare errori e scarti dalla norma rispetto ad un cartamodello tipo.

L’utilizzo del video interattivo ha consentito a professioniste/i infermiere/i di videoregistrare esperienze professionali (autentiche o simulate) e connettervi senza soluzione di continuità informazioni e materiali sulla teoria soggiacente la pratica, piuttosto che di analizzare le esperienze svolte tramite videoannotazione scritta.

Un modo simile per aumentare l’esperienza, anche se tecnologicamente più avanzato, ha permesso ai carpentieri di studiare la statica tramite un’applicazione di realtà aumentata che sovrapponeva ai modelli fisici delle strutture dei tetti informazioni olografiche, esplicative delle forze, visualizzandone la distribuzione su giunti e perni. La medesima tecnologia è stata utilizzata anche dagli impiegati di logistica, che dopo aver ricostruito con scaffali in miniatura un magazzino, hanno beneficiato della tecnologia per visualizzare il flusso delle merci e altri concetti astratti.

Se in tutti questi casi il materiale di partenza è stata l’esperienza reale, indipendentemente che fosse autentica o simulata, e che fosse diretta o indiretta (ossia: vissuta o meno in prima persona), in altri casi le tecnologie hanno consentito invece di creare un’esperienza virtuale, oltre i vincoli spazio-temporali cui siamo abitati nel mondo reale. È questo il caso ad esempio dei giardinieri, che con un’applicazione di realtà virtuale hanno potuto progettare un giardino, piantando alberi e arbusti in pochi secondi con un joystick, e poi manipolando il tempo da dentro il giardino, in un’esperienza immersiva, per vederne la crescita nel tempo e nelle diverse stagioni.

Se in questi esempi abbiamo cercato di enfatizzare la relazione che le tecnologie intrattengono con l’esperienza professionale delle persone in formazione e la funzione che possono svolgere per supportare processi di riflessione individuale o collettiva, resta da sottolineare una seconda importante caratteristica del nostro modello: il fatto che queste rappresentazioni e le attività riflessive che le accompagnano sono caratterizzate da un inerente dinamismo, che prevede che esse si muovano in una circolarità virtuosa e in alternanza tra i luoghi della formazione, con costante interdipendenza reciproca: nel più semplice dei casi, ad esempio, se le tracce (digitali) di esperienza sono raccolte sul posto di lavoro, su di esse si fonda l’attività di selezione ed elaborazione riflessiva svolta a scuola, attività che a sua volta prelude al ritorno sul campo della pratica, ove validare quanto appreso. L’effetto ipotizzato di questa ricca dinamica dovrebbe risolversi in una maggiore e più evidente articolazione tra i luoghi della formazione professionale, ciò che a più riprese abbiamo dimostrato avvenire: le persone in formazione percepiscono meglio la relazione tra quanto vivono in azienda e quanto studiano a scuola, la connectivity tra gli attori – sopra tutti formatori/-trici in azienda e docenti – aumenta, l’intero sistema ne beneficia.

Tirando le somme, e guardando al futuro

Se le tracce (digitali) di esperienza sono raccolte sul posto di lavoro, su di esse si fonda l’attività di selezione ed elaborazione riflessiva svolta a scuola, attività che a sua volta prelude al ritorno sul campo della pratica, ove validare quanto appreso.

Soprassedendo in questa sede sul suo valore in quanto strumento analitico per la ricerca, l’Erfahrraum costituisce un modello pedagogico utile per progettare interventi in cui la tecnologia offra un valore aggiunto non solo didattico, ma anche sistemico, per lavorare cioè insieme sulla didattica e sull’articolazione tra i luoghi dell’apprendimento. Basato su modelli di apprendimento esperienziale, abbiamo visto come l’Erfahrraum possa sfruttare didatticamente esperienze molto diversificate – in un continuum bidimensionale che incrocia un asse relativo al soggetto agente (io vs altri) e un asse relativo al grado di relazione con la realtà (situazione autentica vs virtuale) – ed avvalersi di altrettanto diversificati strumenti di rappresentazione visiva dell’esperienza, che assolvono a funzioni pedagogiche differenti (si veda la tabella per una visione d’insieme).

Visione d’insieme di diverse implementazioni sul terreno ispirate all’Erfahrraum. Nel titolo di ciascuna di esse compare in azzurro il tipo di tecnologia utilizzata, in verde l’obiettivo dell’attività, tra parentesi il/i campi professionali coinvolti).

A livello didattico, abbiamo documentato risultati positivi sull’apprendimento delle persone in formazione, sia per l’acquisizione di conoscenze, sia per lo sviluppo di abilità metacognitive, sia per la qualità della loro performance nella pratica – in ultima analisi, sullo sviluppo di competenze professionali. Analogamente, per quanto riguarda le e i docenti, abbiamo osservato effetti sullo sviluppo di competenze didattiche e digitali. Abbiamo avuto conferma che la lente da adottare è primariamente didattica e non subordinata agli strumenti, e che la combinazione di soluzioni tradizionali e digitali vale spesso più che la più semplicistica sostituzione delle prime con le seconde.

A livello sistemico, abbiamo sperimentato molteplici attività che hanno retroagito sull’articolazione tra i luoghi della formazione professionale, sia nei termini della percezione di una maggiore connectivity da parte delle persone in formazione, sia di una maggiore collaborazione effettiva tra docenti e formatori/-trici in azienda. Abbiamo già accennato nelle sezioni precedenti ai costi e ai benefici che questa complessa operazione comporta. Certamente l’Erfahrraum non costituisce un modello definitivo e può essere ulteriormente sviluppato e migliorato, ma al tempo stesso ha dimostrato la sua utilità e la sua efficacia già nella forma attuale, che non dimentichiamo essere empiricamente fondata. La fine del progetto Dual-T non può che costituire allora il principio di una serie di altre iniziative di ricerca e di sviluppo volte a meglio comprendere le condizioni per un’integrazione giudiziosa e pregevole delle tecnologie nella didattica della formazione duale. Tra esse, due esempi che possono essere collegati a Dual-T sono la creazione della cattedra Digital VET presso il Politecnico di Losanna e del progetto BeLearn promosso dal Canton Berna. Si tratta di due possibilità che sono date a tutta la comunità per garantire la continuità di un processo che vale la pena seguitare ad alimentare. Accanto ad esse, ci sia consentito di menzionare anche le diverse iniziative in corso nel campo di ricerca “Tecnologie educative per la formazione professionale” della SUFFP, in particolare quelle orientate all’uso consapevole delle tecnologie immersive, a partire dal video a 360°[5], e quelle volte a comprendere lo stato delle competenze digitali non solo del personale insegnante, ma anche delle persone in formazione e dei professionisti già operativi nel mondo del lavoro.

Solo continuando questo percorso di approfondimento potremo fare ulteriori passi avanti nella conferma che l’approccio qui semplicisticamente tratteggiato consente davvero un utilizzo saggio e ponderato delle tecnologie, quello cioè che incentiva e potenzia la collaborazione a tre livelli: il livello della progettazione didattica, per supportare l’apprendimento (nelle sue dimensioni cognitive, metacognitive e affettive); del sistema educativo, per promuovere la connettività tra gli attori chiave e tra i luoghi dell’apprendimento; e della comunità, in quanto un approccio di ricerca orientato alla pratica richiede e al tempo stesso supporta la collaborazione tra educatori, ricercatori, professionisti, e altri stakeholder del sistema della formazione professionale.

[1] Come ad esempio la TinkerLamp per gli impiegati di logistica (vedi: https://youtu.be/h7wP3m9DDFg e https://youtu.be/SGRCA7aT3Uc) o StaticAR per i carpentieri (vedi: https://youtu.be/Zm1e330Gxwg).
[2] Come ad esempio GardenVR. Vedi: https://youtu.be/IqHmQAn0mcg.
[3] Come ad esempio la e-DAP per i cuochi (vedi: https://youtu.be/aiaPZeHuCCc) o Realto per tutte le professioni (vedi: https://youtu.be/7mXoiFMfl0Y e https://youtu.be/nCL0pSa0lbM).
[4] Ghisla, G., Boldrini, E., Gremion, C., Merlini, F. & Wüthrich, E. (Eds.). (2022). Didaktik und Situationen. Ansätze und Erfahrungen für die Berufsbildung. Bern: hep.
[5] Il video 360° costituisce un’opportunità ancora poco approfondita ma molto promettente soprattutto per lo sviluppo di competenze professionali in situ.
Citazione

Cattaneo, A. (2023). L’eredità di Dual-T. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 8(3).

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