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Tesi critiche sul "Mandato della scuola professionale"

Occorre rafforzare la formazione scolastica

La formazione professionale perde terreno, mentre cresce la formazione di cultura generale di livello secondario II. Nonostante le persone responsabili osservino con preoccupazione questa tendenza, le misure adottate per rafforzare la formazione professionale di base non appaiono sufficienti. A tale scopo, sarebbe peraltro importante invertire la perdita di rilevanza dalla formazione scolastica causata dalle riforme degli ultimi anni, tornando a rafforzare il ruolo della scuola professionale come luogo di formazione. Qui l’insegnamento professionale dovrebbe essere suddiviso in un'”area interprofessionale di base” e in un'”area di approfondimento professionale specifico”.


Alcuni osservatori temono che questa tendenza possa ulteriormente accelerare e raggiungere un punto critico oltre il quale la formazione professionale finirebbe per essere caratterizzata da un vero e proprio stigma sociale.

Nel dibattito sulla formazione professionale in Svizzera si osserva da tempo un forte paradosso: da un lato, essa gode di grande sostegno politico ed economico, specialmente nella forma del sistema duale, in quanto contribuisce in modo cruciale alla formazione orientata alla domanda di personale qualificato e all’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro. Questo modello, come viene spesso sottolineato, ha peraltro un peso significativo a livello internazionale.

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Dall’altro lato, tuttavia, la formazione professionale di base, sia organizzata in forma duale sia organizzata in forma scolastica, è sempre più in crisi: la percentuale di giovani che scelgono questo tipo di formazione a livello secondario II è infatti in costante calo già da decenni. Il Rapporto sul sistema educativo svizzero 2023 mostra che la crescita della quota di percorsi formativi generali a livello secondario II è ulteriormente aumentata durante gli ultimi dieci anni (CSRE, 2023). A differenza del passato, questa crescita non è più principalmente attribuibile all’aumento del peso dei licei, quanto piuttosto a quello delle scuole medie specializzate. La formazione professionale non perde terreno soltanto nella Svizzera latina e nel Cantone fortemente urbanizzato di Basilea Città, ma anche in Cantoni, come Zugo, caratterizzati dalla presenza di numerose aziende internazionali. Alcuni osservatori temono che questa tendenza possa ulteriormente accelerare e raggiungere un punto critico oltre il quale la formazione professionale finirebbe per essere caratterizzata da un vero e proprio stigma sociale (Marti, 2023).

In questo contesto, sono state criticate le politiche di alcuni Cantoni tese ad ampliare l’accesso a formazioni di tipo generale, sia in quanto ne aumentano l’offerta sia in quanto modificano le regole di accesso a essa. Tuttavia, questi Cantoni non fanno altro che rispondere alla pressione di determinati attori politici e alla crescente domanda sociale di percorsi formativi che vengono considerati più attrattivi rispetto alla formazione professionale –perché offrono ferie più lunghe, perché ritardano la scelta della professione, perché preparano a uno studio di livello universitario, perché offrono la prospettiva di salari più alti o semplicemente perché forniscono una formazione più ampia.

Si susseguono i suggerimenti riguardo a come la formazione professionale potrebbe affrontare questa sfida: per esempio, si sta pensando a un aumento delle ferie degli apprendisti o a salari più alti. Oltre a ciò, da diverso tempo i principali attori della formazione professionale ritengono che l’introduzione di nuovi titoli (“Professional Bachelor” e “Professional Master”) riuscirà a convincere l’opinione pubblica delle opportunità che la formazione professionale può offrire ai giovani (GISO Svizzera, 2024; Leutenegger, 2022; SEFRI, 2024). È tuttavia necessario comprendere che queste misure, da sole, non saranno sufficienti. Oltre a ciò, il mandato delle scuole professionali deve essere preso maggiormente sul serio da parte degli organi competenti – e tale aspetto deve essere affrontato prioritariamente a partire da una prospettiva storica.

Lo sviluppo del luogo di formazione scuola professionale

Già nelle corporazioni medievali la formazione era regolamentata in modo simile a quello attuale, con qualifiche che venivano acquisite tramite gli esami di artigiano e di maestro. Tuttavia, la formazione aveva luogo solamente sul posto di lavoro, senza comprendere la frequenza di alcuna scuola. La situazione cominciò a cambiare a partire dalla fine del XVIII secolo quando, nel contesto dell’espansione del sistema scolastico elementare, vennero istituite scuole di avviamento che apprendisti e professionisti frequentavano inizialmente in maniera volontaria. Giunse quindi la crisi economica degli anni ’70 del XIX secolo, che determinò un cambiamento fondamentale: soprattutto a seguito del fatto che il commercio risentiva della concorrenza estera, si impose infatti l’opinione che i professionisti avessero bisogno di una maggiore scolarizzazione per migliorare la propria competitività – e a partire da quel momento anche il governo federale iniziò a fornire gradualmente un sostegno finanziario alle scuole professionali (Gonon & Maurer, 2012; Wettstein, 2020).

Negli stessi anni furono inoltre istituiti gli esami di fine tirocinio, in cui occorreva dimostrare non solo le proprie abilità pratiche ma anche le proprie conoscenze teoriche. In questo modo, in Svizzera si sviluppò gradualmente il sistema duale di formazione professionale, che nel corso del XX secolo si espanse rapidamente fino a divenire la formazione standard della classe media. Questa espansione non sarebbe stata possibile senza l’aggiunta della formazione scolastica.

A partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, tuttavia, la formazione professionale è entrata in una grave crisi: i cambiamenti strutturali, intensificatisi nel contesto della crescente globalizzazione, hanno infatti portato a una riduzione dei posti di lavoro, in particolare nell’industria, e di conseguenza anche a un drastico calo dei posti di apprendistato (Wettstein & Gonon, 2009). Questa crisi ha spinto i responsabili politici a mettere a punto un pacchetto completo di misure di sostegno diretto, che alla fine ha portato alla revisione della Legge sulla formazione professionale (Strahm, 2008). Alcuni degli attori coinvolti, in tale occasione, si erano espressi a favore di una riforma di ampia portata che rafforzasse ulteriormente la parte scolastica della formazione, giustificandone la necessità non soltanto a causa dei cambiamenti strutturali occorsi, ma anche a causa della crescente mobilità dei lavoratori tra diverse professioni e diversi campi professionali, nonché del fatto che sul lavoro si esigono sempre più spesso non soltanto buone prestazioni all’interno dell’azienda (fra cui rientra, per esempio, anche la fedeltà), ma anche la frequenza di ulteriori formazioni di base e continue. Tuttavia, queste voci non sono riuscite a prevalere, e la revisione ha portato essenzialmente a un rafforzamento del sistema già esistente (Trampusch, 2010).

La formazione professionale di base si muova oggi all’interno di un campo minato: da un lato, dovrebbero preparare gli studenti all’impiego in una professione di insegnante, ma dall’altro dovrebbero anche prepararli alla vita al di fuori di tale professione nel mercato del lavoro, nella società e nella loro vita privata.

Anche alla luce di queste tendenze, la revisione della Legge sulla formazione professionale ha evidenziato come la formazione professionale di base si muova oggi all’interno di un campo minato: da un lato, essa deve preparare gli apprendisti a un’occupazione nella professione appresa; dall’altro deve tuttavia preparare anche alla vita al di fuori di tale professione nel mercato del lavoro, nella società e nella vita privata. La formazione di base non deve cioè impartire soltanto “qualifiche professionali specifiche”, ma anche trasmettere “l’attitudine e la disponibilità ad apprendere vita natural durante” insieme a “una cultura generale di base” (Art. 15 LFPr). La LFPr stabilisce altresì che le scuole professionali devono impartire “le basi teoriche per l’esercizio della professione” e avere un “mandato di formazione proprio” (Art. 21 LFPr) (Assemblea federale, 2002).

Riforme della formazione professionale di base

Come ha risposto la formazione di base a queste sollecitazioni negli ultimi anni? Se si guarda alle recenti riforme delle professioni, e in particolare alle disposizioni relative alle scuole professionali, l’introduzione dell’orientamento alle competenze operative deve essere considerato uno sviluppo di carattere cruciale. Seguendo questo approccio allo sviluppo del curriculum sono state gradualmente abolite materie professionali precedentemente comprese nella formazione scolastica, mentre sono state selezionate conoscenze specialistiche relative a situazioni operative tipiche della professione. In concomitanza con l’abolizione delle materie, anche le competenze interdisciplinari hanno assunto maggiore importanza – e in alcune professioni, per esempio nell’informatica, il numero delle lezioni scolastiche è stato ridotto. In determinati campi professionali i diversi profili di prestazione sono stati nuovamente aboliti (per esempio nella formazione di base commerciale di base o nelle professioni del settore MEM). Infine, in alcune professioni – non da ultimo in riferimento all’orientamento alle competenze operative, ma anche in considerazione dei tassi di insuccesso che, a seconda della professione, erano relativamente elevati – sono scomparsi gli esami finali teorici, mentre in altre professioni ciò è attualmente in discussione (anche riguardo all’insegnamento della cultura generale).

Considerandole con una certa distanza, si può indubbiamente sostenere che queste recenti riforme si sono concentrate sul preparare gli apprendisti in modo migliore e ancora più specifico a un’occupazione nella professione appresa. Questo orientamento, insieme alla relativizzazione dei saperi specialistici organizzati per materia, può apparire sensato dal punto di vista economico nonché da quello sociale. I partner della formazione professionale si trovano del resto in gran parte d’accordo con la direzione intrapresa con tali riforme. Dal canto loro, le aziende e le organizzazioni del mondo del lavoro (OML) accolgono con favore il fatto che l’insegnamento nelle scuole professionali venga il più possibile collegato alla formazione pratica che ha invece luogo nelle aziende e nei corsi interaziendali. Oltre a ciò, la riduzione delle materie tradizionali aumenta gli ostacoli al cambiamento di professione o di settore (per esempio, tramite la MP2) – e ciò, anche se non lo si ammette volentieri, è nell’interesse di molte aziende formatrici. Infine, nemmeno i sindacati si esprimono criticamente nei confronti di questi sviluppi, poiché in ultima analisi essi migliorano l’accessibilità delle qualifiche. Obiezioni non dovrebbero peraltro giungere nemmeno da parte della Confederazione e dei Cantoni, visto che sia l’una sia gli altri perseguono da tempo l’obiettivo di raggiungere un tasso di completamento del 95% a livello secondario II (CDPE, 2006) – e che aspirano a raggiungere tale obiettivo principalmente aumentando il numero di titoli di formazione professionale conseguiti.

Tuttavia, le riforme degli ultimi anni devono essere considerate anche in modo critico. È opinabile supporre che esista un legame diretto tra il calo della quota costituita dalla formazione professionale di base a livello secondario II e le riforme sopra descritte. Tuttavia, non è chiaro se la maggiore focalizzazione dell’insegnamento scolastico sugli interessi delle aziende contribuisca a un aumento complessivo della credibilità pubblica della formazione professionale – o se, in ultima analisi, la danneggi.

La relativizzazione dei contenuti delle materie scolastiche e l’abolizione degli esami finali sollevano dubbi sulla volontà dei partner della formazione di mantenere la formazione professionale di base come un percorso impegnativo anche sotto il profilo scolastico.

Soprattutto, non è chiaro se la formazione professionale nel suo complesso prenda effettivamente abbastanza sul serio le preoccupazioni pubbliche in relazione alle tendenze descritte nel mercato del lavoro. Alla luce dell’ulteriore intensificazione dei cambiamenti strutturali e della crescente mobilità tra diverse professioni e diversi campi professionali, non è facile spiegare perché la formazione professionale di base venga oggi concepita, molto più che negli anni precedenti, come preparazione a una professione ben precisa. La relativizzazione dei contenuti delle materie scolastiche e l’abolizione degli esami finali sollevano dubbi sulla volontà dei partner della formazione di mantenere la formazione professionale di base come un percorso impegnativo anche sotto il profilo scolastico, anche se ciò sarebbe particolarmente importante alla luce della diminuzione della quota della formazione professionale a livello secondario II.

Prospettive

Se le riforme degli ultimi anni abbiano rafforzato la formazione professionale nel suo complesso è un tema che dovrebbe essere affrontato tramite una discussione aperta e critica; questo dibattito non dovrebbe essere condotto semplicemente all’interno della cerchia del partenariato bensì, se possibile, con il coinvolgimento di ulteriori attori politici. La domanda di fondo è: come sviluppare ulteriormente la formazione professionale, in modo che un ancor maggior numero di Cantoni non se ne allontani e non perda ulteriore terreno?

Una via potrebbe consistere nel permettere alle scuole professionali di tornare a prendere sul serio il proprio mandato formativo. A tale scopo, le seguenti quattro tesi possono fornire un orientamento.

  1. La formazione professionale di base deve rimanere tendenzialmente impegnativa – e i contenuti scolastici svolgono a riguardo un ruolo decisivo.
  2. Il “mandato formativo indipendente” della scuola professionale richiede che essa guardi oltre la mera dimensione aziendale (vale a dire, oltre le mere prospettive di impiego nella professione appresa).
  3. Le “basi teoriche per l’esercizio della professione” dovrebbero comprendere saperi specialistici e riferimenti teorici che siano rilevanti almeno a medio termine.
  4. Competenze verificabili in forma credibile svolgono un ruolo centrale per la scuola – tanto quanto procedure d’esame altrettanto credibili.

Concretamente, si dovrebbe pensare a una riforma complessiva dei contenuti dell’insegnamento professionale sulla base di considerazioni come quelle già fatte non solo da Avenir Suisse ma anche dai Cantoni (cfr. CSFP, 2019; Schellenbauer, Walser, Lepori, Hotz-Hart, & Gonon, 2010).

Concretamente, si dovrebbe pensare a una riforma complessiva dei contenuti dell’insegnamento professionale sulla base di considerazioni come quelle già fatte non solo da Avenir Suisse ma anche dai Cantoni.

Sarebbe desiderabile dividere questo insegnamento in due parti. In un'”area interprofessionale di base”, una sorta di “area del campo professionale” ispirata, per esempio, agli indirizzi delle maturità professionali, i contenuti disciplinari verrebbero insegnati attraverso moduli orientati alle materie articolati su diversi livelli (per esempio 2-3), ai quali le singole professioni potrebbero poi essere associate. Vi sarebbe quindi una seconda area, consistente in un'”area di approfondimento professionale specifico”, anch’essa incentrata principalmente sull’insegnamento di basi teoriche e di saperi specialistici, in vista tuttavia della specifica attività professionale. In entrambe le aree si verrebbe costretti a concentrarsi sull’essenziale. Inoltre, quei contenuti dettagliati che potrebbero diventare rapidamente obsoleti dovrebbero essere cancellati o, nel caso in cui risultino comunque indispensabili, essere delegati ai corsi interaziendali.

Dovrebbe infine essere discussa con urgenza l’introduzione di lezioni di inglese obbligatorie per tutti gli apprendisti delle scuole professionali. Al di fuori della cerchia ristretta della formazione professionale, è difficile spiegare perché una formazione di livello secondario II nel 21° secolo non includa ancora questa materia. Per quanto ciò non sarebbe probabilmente gradito a molte aziende, l’introduzione dell’inglese invierebbe un chiaro segnale pubblico riguardo al fatto che la formazione professionale sa stare al passo con i tempi.

Bibliografia

  • Assemblea federale (2002). Legge federale sulla formazione professionale (LFPr) del 13 dicembre 2002 (aggiornata al 1° gennaio 2019). Berna: Assemblea federale della Confederazione svizzera.
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  • CSFP (2019) Elementi chiave del modello CSFP (a integrazione del documento: Gruppo di lavoro Flessibilizzazione / bozza del modello CSFP, 13.08.2019). Berna: Conferenza svizzera degli uffici della formazione professionale.
  • SEFRI (2024) Pacchetto di misure per rafforzare la formazione professionale superiore: Modifica della legge sulla formazione professionale (LFPr) e dell’Ordinanza sulla formazione professionale (OFPr). Rapporto esplicativo per l’avvio della procedura di consultazione. Berna: Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione.
  • Schellenbauer, P., Walser, R., Lepori, D., Hotz-Hart, B., & Gonon, P. (2010). Die Zukunft der Lehre: Die Berufsbildung in einer neuen Wirklichkeit. Zürich: Avenir Suisse.
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  • Trampusch, C. (2010). The Politics of Institutional Change: Transformative and Self-Preserving Change in the Vocational Education and Training System in Switzerland. Comparative Politics, 42(2), 187–206.
  • Wettstein, E. (2020). Berufsbildung: Entwicklung des Schweizer Systems. Berna: hep.
  • Wettstein, E., & Gonon, P. (2009). Berufsbildung in der Schweiz. Berna: hep.
Citazione

Maurer, M. (2025). Occorre rafforzare la formazione scolastica. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 10(1).

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